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La notte della rabbia
Il libro
«Una cosa che Leone amava del proprio lavoro era la possibilità di limitare le conversazioni all’essenziale. Berardi non si era neppure sognato di chiedergli la meta, l’avrebbe saputa al momento opportuno. Avevano una pista, il resto era contorno».
Roma, 1974. I terroristi delle Sap hanno rapito il professor Marcelli, astro nascente della politica nazionale. Le indagini che il colonnello dell’Arma Leone Ascoli avvia insieme al giudice Tramontano si presentano subito complesse. L’unico appiglio è la presenza di una testimone. Come se non bastasse, alla porta dell’ufficiale bussa «Bepi», un ex partigiano che gli ha salvato la vita ad Auschwitz: l’uomo gli comunica che l’aguzzino del campo si trova in città sotto falso nome e gli chiede di consegnarglielo. Il problema è che l’ex SS è diventato un agente doppio, in bilico fra le due anime di una Germania divisa dalla conferenza di Yalta. Intanto le Sap lanciano un ultimatum: o lo Stato libera il loro capo, o Marcelli verrà giustiziato. Per Ascoli sono ore drammatiche. Nella sua mente passato e presente si rincorrono, e sono molte le cose con cui si trova a fare i conti: prima fra tutte la sua coscienza.
«Leone divaricò le gambe sino ad allineare i piedi alla larghezza delle spalle, poi si inarcò leggermente per fissare il baricentro nell’ombelico, la posizione piú comoda. Mosse in cerchio la testa per rilassare i muscoli del collo, aprí e chiuse le mani a turno. Non erano sudate e quello contava, al momento opportuno non lo avrebbero tradito. Solo allora guardò davanti a sé. A venti metri c’era la sagoma, la parte superiore del corpo di un uomo. La osservò con piú attenzione. Le opzioni erano due: la testa o lo spazio fra il petto e lo stomaco, chiamato «bersaglio grosso». A una certa distanza è la scelta migliore, è piú facile colpirlo, ma presenta profili di rischio. Se l’avversario indossa un giubbetto antiproiettile la fine è già scritta, sarà lui a beccarti prima che tu possa mirare di nuovo».