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I fatti
Un forte esaurimento nervoso spinge Philip Roth
a ricapitolare la propria vita. E, per la prima volta
dopo una carriera passata a trasfigurare le proprie
vicende nella narrativa di invenzione, lo fa in un testo
apertamente autobiografico.
Ma può un romanziere limitarsi a raccontare i fatti,
nient'altro che i fatti?
Il libro
Philip Roth invia una lettera a Nathan Zuckerman – protagonista di molti suoi libri e alter-ego per eccellenza – chiedendogli se valga la pena pubblicare il testo che gli allega. Sono pagine autobiografiche che l’autore di Pastorale americana ha scritto a seguito di una crisi emotiva ed esistenziale che lo ha condotto a un ripensamento tanto della sua letteratura, quanto della sua vita.
L’autore si concentra su cinque snodi del suo percorso esistenziale: l’infanzia protetta e circondata dall’affetto dei genitori negli anni Trenta e Quaranta, l’educazione alla vita americana durante gli anni universitari, il tormentato rapporto con la persona piú arrabbiata del mondo («la ragazza dei miei sogni»), lo scontro con l’establishment ebraico seguito alla pubblicazione di Goodbye, Columbus, fino alla scoperta, negli scatenati anni Sessanta, del lato piú folle del suo talento che lo porterà a quel capolavoro che è Il lamento di Portnoy.
I fatti è l’autobiografia non convenzionale di uno scrittore non convenzionale.
***
«I fatti è allo stesso tempo un romanzo, un’apologia pro vita sua, una confessione, un’informale “Guida all’opera di Philip Roth”, un esercizio di nostalgia e di risarcimento».
«The New York Times»