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La separazione del maschio
Il libro
Ci sono libri destinati a ricoprire il mondo con una coltre di parole. Ce ne sono altri che sollevano l’angolo del tappeto per vedere quanta polvere c’è sotto.
Il maschio che parla in questo romanzo è un poligamo recidivo e impenitente, ma anche un padre capace di tenerezza e di attenzione, un marito allegro e appassionato. Il sistema in apparenza è semplice, basta scomporre le giornate in segmenti, per cercare di vivere molteplici vite: frammenti di tempo, storie parallele, frazioni di felicità possibile. Per non parlare del sesso, che è un pensiero costante: un’ossessione e una consuetudine, un linguaggio, un modo per entrare in contatto con il mondo esterno. Più ancora della seduzione e della conquista, più dell’amore che in forme diverse è parte fondamentale di ciascuna relazione.
Ascoltando il suo racconto ci ritroviamo a ridere, sorridere e pensare, e mentre inorridiamo delle sue malefatte siamo costretti a riconoscere quanta verità ci sia nelle sue parole.
È questo La separazione del maschio, dunque: la speranza (vana?) di riuscire a tenere tutto insieme, di dare e prendere felicità e piacere eludendo – spudoratamente – il senso di colpa. Dove per maschio s’intende davvero, genericamente, il maschio di uomo all’apice dell’età riproduttiva. E per separazione s’intendono due cose: quella, letterale, dalla moglie, a cui sembra condurre fatalmente il percorso del romanzo; e quella, fisica e metaforica, che divide all’interno dello stesso uomo gli impulsi e i sentimenti. Per scoprire, amaramente, che la felice separazione è un’utopia, perché lo spirito non è all’altezza di tanto filosofico materialismo.
«Così, posso ammettere in via definitiva, grazie all’ultima e più eclatante (ma non necessaria) prova, che il mio immaginario erotico è elementare, di primo grado – una specie di modello base: l’immaginario erotico del maschio meridionale, il punto più basso della scala evolutiva della contemporaneità, probabilmente».