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Goetz e Meyer
Con questo romanzo di forte impatto emotivo e di evidente matrice autobiografica - anche 35 familiari dell'autore scomparvero nel nulla - David Albahari cerca di ricostruire un passato indicibile, di far fronte alla necessità di dare una figura, un corpo, agli esecutori del Male.
Il libro
Tra la primavera del 1941 e quella del 1942, a Goetz e Meyer, due sottoufficiali delle SS, fu affidato un incarico tutto speciale nella Jugoslavia occupata dalla Wehrmacht: con un autocarro dovevano percorrere una volta al giorno il tragitto di quindici chilometri che separava Belgrado da Jajinci. In entrambe le località c’era un campo di internamento per ebrei, zingari e altre «popolazioni inferiori». Goetz e Meyer caricavano un centinaio di persone, le chiudevano dentro e partivano. Strada facendo collegavano il tubo di scappamento a un foro posto sotto il cassone: con un minimo dispendio di energia e un massimo di economicità, grazie a questo sistema 5000 ebrei serbi morirono asfissiati dal monossido di carbonio.
«Goetz e Meyer. Non li ho mai visti, posso solo immaginarmeli. Di solito in coppie del genere uno è alto e l’altro è basso, ma, dal momento che erano entrambi sottoufficiali delle SS, è facile immaginare che fossero di statura alta, forse perfino della stessa altezza. Suppongo che le norme per l’ammissione ai ranghi delle SS fossero particolarmente severe, e certamente non si andava al di sotto di certi limiti. Uno di quei due, secondo i testimoni, entrava nel lager, giocava con i bambini e li prendeva in braccio, addirittura regalava loro cioccolatini. Basta così poco per immaginarsi un altro mondo, no? E poi Goetz, oppure Meyer, entrava nella cabina del suo camion e si preparava per un altro viaggio».