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La legge dell’odio
Dolente, osceno, irrimediabile.
Il romanzo che per la prima volta svela
il fascino e l'orrore della violenza nera.
Per il ventenne Stefano Guerra la violenza è bellezza
e l'odio una legge nuovissima e antica.
C'erano anche lui e i suoi camerati a combattere contro la polizia
in un lontano giorno del 1968, in Italia, a Roma,
a Valle Giulia. Da quel giorno la vita
del giovanissimo neofascista coincide con l'illusione
della rivoluzione e l'asservimento reale a ogni potere,
fino alla strage. E mentre prosegue il suo percorso di carnefice,
sempre piú disilluso, intorno a lui si snoda una storia
che non avevamo mai letto. La storia segreta delle trame nere
in Italia negli anni dal 1969 al 1972.
Una storia che si apre oggi a prospettive sconfinate e inquietanti.
Perché mai un romanzo aveva saputo ritrarre con tanta forza
il fiume selvaggio che scorre sotto la storia, le credenze, la politica.
Ed è sempre sul punto di tornare, sotto i nomi piú nuovi.
E il suo cuore è sempre quello, batte anche in ciascuno di noi.
Alberto Garlini ne circoscrive, con precisione chirurgica,
la sfuggente forma, raccontando il destino di personaggi
umanissimi e veri, travolti come pagliuzze nella corrente,
dall'Italia al Sudamerica e al mondo.
Il libro
Maggio 1985, Tribunale di Milano. Il neofascista Franco Revel, capo di Lotta Nazionale, accusato di aver ucciso il camerata Stefano Guerra, subisce un interrogatorio. È seguendo la sua deposizione che ripercorriamo l’epopea di Stefano Guerra, a partire dal giorno in cui i due si conoscono: il 16 marzo 1968, durante gli scontri di Valle Giulia. Quel giorno, Franco e i suoi camerati marciano insieme ai «cinesi» e, quando la polizia attacca, sono proprio loro a condurre la lotta, nonostante la cronaca del tempo lo ignori e la storia lo abbia dimenticato. Stefano è alto, biondo, magro «come un fenicottero». Ha l’aria di chi è sempre pronto a spaccarti la faccia, di chi non aspetta altro che combattere. A Revel è subito chiaro che quel ventenne «si porta dentro la rivoluzione e i rumori della provincia e il calore pulsante dei pugni», e quando Stefano, per scappare dalla polizia che ha sfondato Giurisprudenza, finisce per caso in un’aula di Lettere, dove per paura ammazza un giovane comunista, è proprio Franco a salvarlo. Da quel momento in poi è deciso a sfruttare l’istinto omicida del giovane per gli interessi dell’organizzazione che guida.
Alberto Garlini ci consegna il romanzo definitivo sugli anni Settanta, adottando per la prima volta nella letteratura italiana la scandalosa prospettiva di un terrorista neofascista. E come solo i grandi libri possono fare, cambia per sempre il nostro punto di vista.
Con pietas per le vittime del terrore ma anche per la crudeltà di un’illusione che si consuma bruciando vite umane, lontano da qualsiasi intenzione cronachista, nonostante la vastissima documentazione e ricostruzione storica, La legge dell’odio – epico come Romanzo criminale e carico di forza tragica come Le benevole – racconta il momento esatto in cui nessun orizzonte politico è piú riuscito a trasformare la rabbia e il senso di ingiustizia in un progetto di lunga durata. Il momento esatto in cui la violenza ha trovato ragioni immediate per sfogarsi.
Leggendo questo romanzo sentiamo di aver trovato finalmente una chiave per capire la fine delle speranze, il nichilismo diffuso che ci pervade, il fondo oscuro e violento che sta sotto il discorso politico.