-
Antropologia e religione Antropologia e religione
-
Arte e musica Arte e musica
-
Classici Classici
-
Critica letteraria e linguistica Critica letteraria e linguistica
-
Filosofia Filosofia
-
Graphic novel Graphic novel
-
Narrativa italiana Narrativa italiana
-
Narrativa straniera Narrativa straniera
-
Poesia e teatro Poesia e teatro
-
Problemi contemporanei Problemi contemporanei
-
Psicologia Psicologia
-
Scienze Scienze
-
Scienze sociali Scienze sociali
-
Storia Storia
-
Tempo libero Tempo libero
L’epistola del perdono
Che al-Ma'arri sia un personaggio sfuggente lo
si intuisce già dal profilo biografico. Asceta rigoroso
ma eccentrico, recluso dal mondo ma
circondato di discepoli, pio predicatore, ma
forse sacrilego imitatore del Corano: i pareri si
sono divisi da subito. In lui convivono esistenzialmente
desiderio di credere e dubbio, senza
che alcuna formula superiore intervenga a fare
la sintesi.
Se dovessimo individuare un motore del pensiero
di al-Ma'arri, lo indicheremmo nella messa
in discussione delle religioni tradizionali accompagnata
da una severa critica del potenziale conoscitivo
della ragione, che solo nell'ambito etico
è in grado di approdare a conclusioni certe.
dall'introduzione di Martino Diez
Il libro
Scritta nell’XI secolo, L’Epistola del perdono di al-Ma’arri è un testo satirico di prima grandezza, una narrazione vivissima e teatrale. L’aldilà che vi è descritto è popolato di letterati pedanti, ipocriti adulatori, furbetti e furbastri che si aggirano tra angeli inverosimili e vergini a dimensione variabile secondo il desiderio dei beati. La satira di al-Ma’arri si rivolge sia agli uomini, in particolare agli eruditi ambiziosi e ai poeti maldestri, sia piú in generale alle rappresentazioni popolari del Paradiso islamico. Poeta coltissimo, uno dei piú grandi intellettuali della sua epoca, al-Ma’arri lascia trasparire, sotto l’ironia, una domanda di senso accompagnata da un messaggio teologico dirompente: il perdono divino è piú grande di quanto si creda. Per essere ammessi in Paradiso può bastare una buona azione nella vita; per un poeta, un vero buon verso in mezzo a tanti fasulli. Questa prima traduzione italiana fa scoprire un libero pensatore dei suoi tempi, una delle piú grandi figure della cultura araba di ogni epoca.
«A noi Ginn è stato dato il potere di cambiare d’aspetto. Una volta sono entrato in una casa per invasare una ragazza. Ho assunto la forma di un topo di campagna e mi hanno scatenato contro i gatti. Ma quando mi stavano per catturare mi sono trasformato in una vipera velenosa e mi sono rifugiato sotto una catasta di legna che si trovava lí vicino. Se ne sono accorti e mi hanno messo allo scoperto. Temendo di essere ucciso mi sono mutato in un venticello leggero e sono andato a posarmi sulle travi del tetto mentre loro facevano a pezzi legna e tronchi senza trovare nulla. In preda alla meraviglia dicevano: “Non può essersi nascosta da nessuna parte…”. Mentre parlavano così, ho puntato una fanciulla prosperosa che se ne stava sotto la zanzariera. Al vedermi è stata colta da un attacco epilettico. Al suo capezzale si radunarono familiari da ogni dove; chiamarono maghi e medici e spesero una fortuna. Nessun incantesimo rimase intentato, ma senza esito. I guaritori si adoperarono a darle da bere pozioni, ma io non la mollavo. Quando poi morí me ne cercai un’altra e via di seguito finché Dio mi donò di pentirmi e mi concesse ampia ricompensa. E per questo non cesso di lodarlo».